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Piazza Regina Margherita (Chiesa Matrice)

Dopo Don Fabrizio, Don Carlo

Dopo il nostro Principe Fabrizio, ciò che accadde ai Carafa, influì certo anche sul territorio "prunarese" , anzi, ormai ufficialmente e storicamente "fabriziese". Avventure e disavventure di questa famiglia, che ormai aveva scalato le vette della nobiltà, costituirono un umus che influenzo e condizionò la storia e l'attività politico-economica del Regno di Napoli.

Scrive Franco Carè, facendo riferimento a documenti reperiti presso l'Archivio di Stato, che "la ricchezza forestale del territorio prunarese era tanto apprezzata dal Consiglio di Corte napoletano da indurlo, nel 1771 ad approvare lo spostamento delle regie ferriere da Stilo, dove si era verificato un depauperamento boschivo quasi assoluto, ad una contrada del demanio comunale di Fabrizia nota come cima o mungiana, ricca di acque e selve estese". Ritroviamo, quindi, che l'attività ed il territorio, dominato dai Carafa, veniva tenuto in considerazione nell'ambito della pianificazione economica in ambiti molto importanti per l'epoca. Non dimentichiamo che le industrie ferriere sono state le pioniere dell'industria moderna. E queste officine, sotto il diretto controllo statale, divennero il fiore all'occhiello del Regno di Napoli. Un'altra attività "industriale" che ebbe grande fortuna ed elevate attenzioni statali fu quella della lavorazione della lana. I cosiddetti "Battendieri", ovvero, come noi fabriziesi li conosciamo "li vattindiari", sorgevano in punti strategici della fiumara dell'Allaro. Il prodotto finito era il filato. E' noto che in questo lembo meraviglioso di terra all'epoca si produceva non solo la lana ma anche altre fibredi pregio per l'epoca, che si chiamava "orbace" o, meglio, per noi fabriziesi, "l'arbasu". Con questo filato, che se non era così noto come altri filati classici, era praticamente insostituibile per la confezione dei costumi dei pastori. I pastori, che naturalmente conducevano una vita abbastanza "nomade" a motivo della necessaria transumanza delle greggi, dalla montagna alla collina e viceversa, erano esposti alle inclemenze del freddo ed a sopportare caldo e fatica del variare delle stagioni. La fibra di cui erano tessuti questi "custumi", aiutava a ripararsi sia dal caldo che dal freddo grazie alle sue proprietà isolanti.

Tanto altro potrebbe essere detto sull'andamento dell'economia del territorio dovuta all'influenza della famiglia Carafa, ma per il momento, trattando della figura del Principe Fabrizio Carafa e della sua famiglia, vogliamo dare uno sguardo alla successione nobiliare che ne seguì, almeno nell'immediato. Utili notizie, in parte vagheggiate ma tante, invece, storiche, le ho ritrovate sul sito di Raffaele Raimondo, www.torreweb.it, dove è stato pubblicato un interessante articolo su "I Carafa della Roccella", nel quale, tra l'altro, si racconta l'episodio che causò la morte di Don Fabrizio. Il 13 marzo 1671, il principe di Roccella, nello scendere dalla sua carrozza per salire su quella del principe di Scilla don Francesco Maria Ruffo, pose un piede in fallo e si ruppe una gamba. Si racconta che proprio in quei giorni fervevano i preparativi delle nozze del figlio maschio di don Fabrizio, Carlo Maria Carafa con la cugina Isabella d'Avalos, figlia dei marchesi di Pescara e Vasto. Era tutto pronto per le nozze, che dovevano essere celebrate a Procida ma, purtroppo, nei giorni seguenti, il Principe, fu colpito da una mortale cancrena. Infatti, il Principe di Roccella don Fabrizio Carafa, morì il 24 marzo 1671. Era il Principe Carlo l'unico erede maschio di Fabrizio, il quale, sposato ad Isabella non riuscì ad avere a sua volta un erede a cui lasciare le sue fortune. Però il Principe della Roccella Fabrizio Carafa, aveva un'altra figlia, di nome Giulia nata nel 1643, che sposò Federico Carafa dei duchi di Bruzzano; ma questa andò a vivere nel feudo della famiglia di Federico a Bruzzano.

(Wbm. M.Cirillo) Contatore siti

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