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Piazza Regina Margherita (Chiesa Matrice)

LA CHIESA MATRICE

La Chiesa Matrice sorge nella Piazza Regina Margherita o “piazza della Chiesa Grande”, come la chiama lo scrittore Serafino Maiolo, che, nel romanzo “C'è ancora una stella” la descrive come “una specie di Foro, il luogo più illustre del paese, con la chiesa del Patrono posta di sbieco, le alte case dei galantuomini, la ricca bottega del Jacopetta, fratello del podestà, il monumento ai caduti, il castello del Principe, la chiesa della Vergine del Rosario”. Egli scrive inoltre che “ la Chiesa Grande , edificata dai mastri pipernieri della Serra, è grande davvero, in granito chiaro, con due campanili altissimi e un ampio scalone che va strozzare la piazza quasi a scinderla in due scompartimenti”.

Notizie della Chiesa, ecclesiali e finanziarie le ritroviamo in diversi studi che hanno fatto riferimento a documenti storici. Dal punto di vista storico-economico del diciottesimo secolo un importante riferimento lo si ricava dal Catasto Onciario redatto nel 1746, depositato presso l'Archivio di Stato di Napoli dal quale lo scrittore Sharo Gambino ha estratto le notizie riguardanti “Il Catasto Onciario di Fabrizia”. Il documento ci comprova lo status della “Chiesa Madre sotto il titolo di Santa Maria delle Grazie”. Nella Chiesa stessa troviamo censite diverse cappelle: la “Venerabile Cappella del SS. Sagramento nella Chiesa Madre”, la “Venerabile cappella di S.Antonio di Padova nella chiesa Madre”, la Venerabile Cappella del Purgatorio nella Chiesa Madre”, la “Venerabile Cappella di S.Vito nella Chiesa Madre” e la “Venerabile Cappella della Beata Vergine del Rosario nella Chiesa Madre”.

L'elaborato più esaustivo, dove troviamo notizie della Chiesa Matrice a partire dalle origini, che coincidono all'incirca con quelle del paese, è frutto del robusto lavoro dello scrittore Franco Carè condensato nel suo saggio “La cavalera 400 anni di storia di Fabrizia” che ha come riferimento gli archivi di Stato di Napoli, quelli diocesani di Catanzaro e numerosi studi e documenti antecedenti, con il risultato che il lavoro si presenta veramente notevole e rivelatore di una realtà finora trascurata, ma che grazie ad esso è possibile apprezzare e comprendere nella sua vera essenza. Le informazioni che stiamo evidenziando in questo contesto, che riguardano la Chiesa Matrice e le altre chiese cittadine, mostrano le radici profonde della civiltà fabriziese sia sotto l'aspetto socio-territoriale sia sotto l'aspetto clericale .

Innanzitutto si deve mettere in evidenza che la prima chiesa di Fabrizia, la Chiesa Madre , fu edificata più o meno contemporaneamente (1591) alla nascita di Fabrizia. Alla sua edificazione contribuì la curia vescovile di Gerace, anche con l'intento di testimoniare “la presenza di terre ecclesiastiche da tutelare”. La stessa curia di Gerace, nel 1636 proclamò la chiesa recettizia, ossia gestita da un collegio di chierici o revisori , sostituendo l'economo spirituale nominato dal Principe Carafa ed affidando la cura spirituale dei residenti al primo sacerdote, Giovanni Silipo di Fabrizia.

Le vicende fortunose della Chiesa furono veramente tante. A causa del violentissimo terremoto del 1783, la Chiesa Matrice di Fabrizia, insieme a molte cattedrali della Calabria (tra le quali la Certosa di Serra ed il Convento di Soriano), andò quasi distrutta. La ricostruzione delle chiese avvenne ad opera della Cassa Sacra la quale doveva però occuparsi del restauro delle chiese parrocchiali. Per Fabrizia, invece, la Cassa finanziò anche la ricostruzione della Chiesa Matrice, che non era parrocchiale. Nei documenti è descritta la struttura architettonica della Chiesa Matrice “costituita da una facciata a due ordini e timpano, serrata da due bassi campanili”. La progettazione e l'esecuzione è attribuita al “famoso ingegnere serrese Biagio Scaramozzino, che, con l'ausilio di valenti scalpellini di Serra, terminò l'opera nel 1802” . In questo contesto e periodo “La nuova Matrice, che in precedenza era cappella del SS. Sacramento, fu dedicata a S. Maria delle Grazie” Nello stesso anno 1802 venne “elevata ad Arcipretura dal Vescovo Barisani, che provvide a nominare il sacerdote Rocco Antonio De Amico primo Arciprete”. Nello stesso periodo, il Vescovo di Gerace, Scoppa, aveva elevato le altre due chiese di Fabrizia a parrocchie. Però per la Chiesa del Rosario, la Cassa Sacra non poté erogare alcun contributo perché era “di patronato della famiglia Carafa, cioè appartenente alla feudalità esclusa per legge da qualsiasi forma di assistenza”. Infatti sul feudo prunarese, la Chiesetta del Rosario, fin dalla fondazione nel 1742 a cura del Principe Gennaro, “fu proclamata di esclusivo patronato dei Carafa” la quale con “la presenza di un economo spirituale dimostra l'assidua richiesta di cure religiose da impartire alla famiglia del Principe”. La Cassa Sacra finanziò la costruzione della chiesetta della Natività a Nardodipace “di patronato della Matrice Arcipretale di Fabrizia”, “che rispondeva all'esigenza di arrestare l'esodo della popolazione all'indomani del sisma” dove molti paesani di Fabrizia si erano ricoverati “accompagnati da un prete, che li persuase a stabilirsi in maniera definitiva.

I sismi degli inizi del ventesimo secolo arrecarono molti danni anche alla chiesa Matrice. Soprattutto quello dell'8 settembre 1905 causò morti e danni “irreparabili” all'altare maggiore della Chiesa Matrice, per cui non fu sufficiente il restauro ma lo si dovette ricostruire. La nuova opera “a spese dei fedeli, venne eseguita a Napoli nel 1913, secondo lo stile barocco e tutta in marmo sovrastata da una cripta molto decorata in cui è riposta la statua di S.Antonio”. Ma da allora si susseguirono parecchi sismi, come quello del 7 marzo 1928, che provocò pesanti danni ed “anche la chiesa matrice –che solo tre anni addietro era stata restaurata e ricoperta di pitture realizzate dai famosi artisti Zimatore e Grillo- venne seriamente danneggiata, specie lungo le navate laterali”.

Lo scrittore da anche notizia sull'autofinanziamento dei restauri della Chiesa Matrice, la quale “come si evince dalla Platea, soleva affittare la fornace, ricavando una consistente rendita, che insieme agli altri introiti derivanti dalle gabelle, dai censi bollari e dai canoni locativi del battenniero, permetteva di assoldare i bravissimi scalpellini serresi. Alla Maestria di Serra era dovuta la costruzione di diversi altari commissionati nel 1754: quello di S.Maria della Pietà voluto dallo stesso vicario Domenico Doria; l'altare di San Giuseppe donato dalla famiglia Nesci e quello dell'Immacolata offerto dalla famiglia De Masi. Inoltre la Cappella provvide nel 1768 a modificare gli interni della Matrice: le parti in legno furono sostituite da marmo cesellato da 4 mastri serresi e le pareti di tutta la chiesa furono ricoperte di belle pitture”

L'opera di Franco Carè ci consente, con la copiosa documentazione richiamata, di conoscere anche i risvolti che la storia del brigantaggio, a Fabrizia, ebbe direttamente sul paese ed, indirettamente, sulla Chiesa Matrice. Per quel che in questo contesto può interessare, citiamo il particolare del ritrovamento della Statua di Sant'Antonio che, successivamente, diverrà il Patrono del Paese. L'esercito napoleonico, comandato da Giuseppe Bonaparte, nel febbraio 1806, dopo aver varcato le frontiere napoletane si diresse verso la Calabria, travolgendo la debole resistenza rimasta all'indomani della fuga del sovrano borbonico riparato in Sicilia. Ma la rivolta iniziò subito e la corte borbonica “ riprese subito i contatti con alcuni capibanda che da masnadieri furono promossi ufficiali superiori dell'esercito reale con l'incarico di sollevare i contadini contro i francesi. La guerriglia imperversava, i briganti trovavano rifugio sulle montagne e si difendevano come “leoni affamati” contro la forza civica che di tanto in tanto organizzava spedizioni contro i briganti. In questo contesto e quindi nel periodo in cui imperversava la guerriglia che colpì diverse volte Fabrizia, è da collocarsi “la data del ritrovamento della statua di S.Antonio lasciata in stato di abbandono nelle foreste a Nord dell'abitato”.

Concludendo questa trattazione sulla Chiesa Matrice nel passato, è d'obbligo parlare del culto a S. Antonio e di quanto esso sia ancora radicato e contemporaneo con molti segni votivi. Nel giorno della sua ricorrenza, 13 giugno, sono ancora numerose le persone che offrono al Santo il “voto delle verginelle” che si paga invitando a casa propria 13 giovani ragazze ed un ragazzino (che dovrebbe rappresentare il bambinello Gesù), a cui vengono “servite” tredici portate diverse. I giovani, a fine pranzo, salutano i padroni di casa baciando loro la mano e ringraziando per l'invito; mentre i familiari dei ragazzi invitati esprimono l'augurio che il loro voto venga accolto, generalmente mediante la frase tipica ancora in uso: “Lu Santu mu vi l'accetta”.

Altra manifestazione di devozione ancora esistente è quella di vestire con il saio marrone come quello del santo, i capelli tagliati a coroncina e sandali marrone ai piedi. Da qualche anno sta riprendendo quota il voto delle raghatelle (che negli ultimi 10-15 anni sembrava quasi scomparso) e che consiste nel trascinarsi ginocchioni per tutto il percorso della lunga chiesa, con partenza dalla porta ed arrivo davanti la statua del Santo; poi ritorno a piedi all'entrata e, daccapo, per il numero di volte che si è “promesso” al Santo per la grazia ricevuta o di cui si è in attesa.

La festa in onore del Patrono Sant'Antonio di Padova si svolge la domenica successiva al 13 giugno. A partire dal sabato e per tutta la giornata di domenica si svolge per le vie del paese una grande fiera. La “tredicina”, e cioè la messa all'alba per tredici mattine, che viene seguita come offerta votiva al Santo, si svolge dal 1° al 13° giorno del mese di giugno. Generalmente in queste mattine, oltre che per tutta la giornata del 13 giugno e nei giorni dei festeggiamenti, vengono “offerte” anche le “raghatelle”. Altri segni votivi e festivi, riguardano l'offerta di doni (mostaccioli, capicolli, salame, olio, biscotti, formaggi, ed a volte anche pollame, capretti, conigli ecc.), che poi vengono messi all'asta nel tardo pomeriggio della domenica della festa, al ritorno del Santo in Chiesa. Di solito svolge la funzione di banditore il Signor Pupo, (detto “lu cecatu”), storico banditore di Fabrizia, in una sorta di arguta cerimonia molto apprezzata dai cittadini che partecipano con reale spirito di gioiosa solidarietà.

 

Questo lavoro espositivo, per quanto riguarda i riferimenti storici, è basato sui documenti ed elaborati degli scrittori fabriziesi Franco Carè e Serafino Maiolo ed dello scrittore serrese Sharo Gambino.

©Vs/Wbm Maria Cirillo ©Contatore siti

 

Palazzo Cavalera

Chiesetta Madonna del Rosario

Storico Monumento ai Caduti

Panorama Caulonia (vista dalla zona Cannizza di Fabrizia)


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La Chiesa Matrice di Fabrizia

www.vivifabrizia.it

 

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